Domanda: Gentilissimo Ugo, con mia grande gioia una delle mie phalaenopsis ha dato alla luce il suo primo “keiki”. Quando sarà il momento di recidere il “cordone ombelicale”? E come procedere affinchè vada tutto bene? Grazie per la preziosa consulenza. p.s. Le phalaenopsis possono stare senza “bark” con le radici libere spruzzate regolarmente solo con acqua?
Postata da: DI RENZO VINCENZO
Risposta di: Dott. Ugo Laneri
I keiki (parola hawaiana che significa “bambino”) sono delle piante avventizie, sviluppate da una gemma di uno stelo, abbastanza frequenti nei generi Dendrobium ed Epidendrum, ma anche Phalaenopsis (e ibridi), Oncidium, Catasetum. Essi costituiscono una preziosa modalità per la propagazione vegetativa, che darà luogo a piante con lo stesso corredo genetico e quindi le stesse caratteristiche della pianta madre. In realtà è alquanto singolare il fatto che in Phalaenopsis (e particolarmente in P. equestris e suoi ibridi) da uno stelo fiorale (fase riproduttiva) si passi ad una fase vegetativa. La produzione dei keiki avviene in genere quando la pianta sta abbastanza bene. Il keiki viene nutrito in due modi: dalla pianta madre e, in parte, mediante la fotosintesi, dalle sue proprie foglioline, per cui lo sviluppo potrebbe essere piuttosto rapido; dipende dalle condizioni di coltivazione. Non c’è alcuna fretta a staccarlo dalla pianta madre e se ciò non avvenisse, anche il keiki potrebbe produrre delle infiorescenze; addirittura ci potrebbero essere contemporaneamente anche quelle della pianta madre. Se si preferisce però avere un’ altra pianta in vaso, si può staccare il keiki quando ha almeno 3-4 foglie ben sviluppate e più radici lunghe almeno 5 cm; consiglio di effettuare il distacco in primavera. Si taglia generalmente una porzione di stelo circa 1 cm a monte della base del keiki ed altrettanto a valle; si consiglia di usare strumenti disinfettati. Le superfici tagliate è meglio disinfettarle con una spolverata di cenere (anche di sigaretta) o di carbone vegetale in polvere o un prodotto fungicida. Intanto si è preparato un piccolo vaso (5-8 cm), sul cui fondo ci sia un sasso per mantenerlo diritto; le Phalaenopsis amano vasi piccoli. Se si trovasse, l’ideale sarebbe un vaso trasparente (un bicchiere di plastica trasparente potrebbe andare bene), per consentire la fotosintesi anche alle radici. Come substrato si preferisce dello sfagno a pezzi o -meglio- una mistura di sfagno e bark (corteccia lavata e sminuzzata di certi pini) a granulometria piccola. Il substrato va fatto aderire all’apparato radicale, ma senza forzare; se qualche radice resta fuori, va bene ugualmente. Infine si mette questa massa nel vaso e si aggiunge altro substrato per assestare la pianta. Collocarla infine vicino alla pianta madre o altro luogo adatto come luce, temperatura, umidità, ricambio d’aria. Senza esagerare, bisogna curare che l’umidità ambientale o almeno quella circostante alla pianta sia elevata, ma non ci sia ristagno d’aria. Quindi un bel sottovaso con ghiaia o argilla espansa sempre umida è opportuno. All’inizio nebulizzare leggermente tutta la piantina ed il substrato con acqua distillata o oligominerale. Per consentire la sua crescita, quando essa ha attecchito, bisognerà poi cominciare, in maniera molto blanda e graduale, a irrigarla bene abbastanza frequentemente e alternativamente a fertilizzarla con i soliti concimi ternari per Orchidee (spesso si consiglia un 10-10-10) o comunque un buon concime perfettamente solubile, a basso dosaggio (non più di 0,5 g/l). Quando la pianta sarà cresciuta tanto che il vasetto non sta più in piedi, sarà opportuno rinvasarla. Le radici aeree delle Phalaenopsis vanno nebulizzate se l’atmosfera non è abbastanza umida e tendono a seccarsi. Teoricamente si potrebbe anche coltivare una Phalaenopsis su “zattera”, legandocela e poi nebulizzando le radici spesso, alternando acqua e soluzioni nutritive molto diluite.